Giorno della memoria, la Toscana con gli studenti raccontando tutte le deportazioni
Un viaggio che si tuffa nel passato per poi riaffiorare nel presente, con anticorpi più allenati ed occhi vigili e indagatori. Un viaggio per capire come le deportazioni nei campi di sterminio nazisti, non solo quelle degli ebrei, sono nate senza sottovalutare il rischio di discriminazioni, pregiudizi o mancata accettazione delle diversità che ancora oggi rimangono.
Firenze: Così da oltre venti anni la Regione Toscana interpreta il Giorno della memoria e così l’ha ricordato anche quest’anno, chiamando al Teatro del Maggio Fiorentino un migliaio di studenti giunti in treno a Firenze da quasi tutta la Toscana e molti altri collegati in streaming.
Un viaggio fatto di numeri ma anche di volti e di storie. E tanti i temi toccati: l’assurdità del concetto di “razza pura”, la memoria che è sentimento ma anche (e soprattutto) conoscenza, la deriva pericolosa di una società costruita per sottrazione, l’indifferenza che uccide e ci rende responsabili, il falso mito degli italiani brava gente e la complicità invece di volenterosi carnefici italiani nelle deportazioni nei lager. E poi la pace, necessaria oggi più che mai.
Quattro ore dense di interventi. Con due testimoni dirette di quello che furono i campi di sterminio nazisti, Andra e Tatiana Bucci: instancabili nel loro racconto ogni anno a giovani diversi, deportate a quattro e sei anni nell’inferno di Birkenau, scambiate dal dottor Mengele come gemelle e per questo salve alla prima selezione all’arrivo nel campo dove bambini, anziani e persone non adatte al lavoro venivano subito spediti alla camera a gas.
Quando a metà mattinata salgono sul palco, orecchie ed occhi degli studenti sono lì appesi a guardarle ed osservarle. Poi, appena scese ed approfittando di una pausa, alcuni si incamminanno verso di loro: per una parola, un gesto, una carezza sulla spalla.
Sul palco Andra e Tatiana Bucci raccontano, alternandosi, le tante porte scorrevoli che hanno attraversato in quel frangente della loro vita. Non nascondono il peso della memoria ma la necessità di continuare a raccontare. Ricordano il cuginetto Sergio che non ce l’ha fatta, trasferito da Auschwitz ad un campo alle porte di Amburgo, assieme ad altri bambini per farne cavie di esperimenti sulla tubercolosi e poi uccisi quando gli Alleati erano alle porte, per eliminare qualsiasi prova di quello che si stava facendo.
Raccontano delle nonna inginocchiata a chiedere pietà per loro bambini, quando in quella notte di fine marzo 1944 tedeschi e italiani si presentarono nella loro casa a Fiume, ricordano il viaggio ammasati in un convoglio fino a Trieste e poi Auschwitz. Raccontano di come sono sopravvissute, di come la loro mente si sia adattata a quell’abisso e alla lontananza della mamma, parlano del centro di raccolta in cui dopo la liberazione, prima a Praga e poi in Inghilterra, furono assistite e del loro ritorno a casa, a Roma, anni dopo, con la fila di persone a chiedere se avessero notizie di altri deportati scomparsi.
“Sono tornata qualche anno fa a Trieste – dice Tatiana - e nel rivedere il silos davanti alla stazione ferroviaria, transandato ed oggi riparo di migranti in fuga che arrivano in Italia a piedi attraverso i Balcani, ho rivisto Birkenau”. Poi una battuta su Israele e la striscia di Gaza. L’anno scorso, sempre a Firenze, Andra aveva confessato di essersi chiesta, alla scoppiare della guerra, se tutte le volte che hanno parlato e raccontato sia stata una fatica inutile, subito però convinta che proprio per questo bisogna continuare a farlo”. Oggi Tatiana si limita ad un auspicio: “Vorrei semplicemente la pace”.
Pace che invoca anche padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato a Monte che più di una anno fa ha organizzato a Firenze una fiaccolata con ebrei e musulmani, facendo del capoluogo toscano “una città profezia di pace e di unità e generatrice di futuro”. Un discorso, il suo, anche contro l’indifferenza. “La memoria – dice - non è nostalgia: nostalgia è soltanto rimpianto. La memoria è un seme che cresce ed è un seme capace di spezzare quell’orrendo filo spinato che sembra tornare ad essere l’unico confine possibile tra le diversità”.
La mattina al Maggio Fiorentino si era aperta in musica, con l’Orchestra multetnica di Arezzo e l’Alexian Group di Santino Spinelli: melodie ed armonie ebraiche e rom che si intrecciano. Enrico Fink, musicista e presidente della comunità ebraica di Firenze, intona “El male Rachamim”, poesia spesso utilizzata come preghiera e subito dopo la prima a prendere la parola è l’assessora all’istruzione e alla memoria Alessandra Nardini. Quindi è la volta della sindaca di Firenze Sara Funaro e del direttore dell’ufficio scolastico regionale toscano Ernesto Pellecchia.
Sale sul palco il presidente della Toscana Eugenio Giani, che consegna il Pegaso d’oro, massimo riconoscimento della Regione, alle sorelle Bucci. Quindi un nuovo intermezzo musicale ed è la volta di Sofia Canovaro, presidente del Parlamento regionale degli studenti, che si sofferma sul clima da apologia di fascismo e sul revisionismo portato avanti sulla storia del Novecento, motivo per cui diventa ancora più importante la memoria. Dopo di lei tocca alla docente di storia contemporanea Isabella Insolvibile fare un’introduzione agli anni delle deportazioni e il viaggio prosegue, con lo storico Luca Bravi e la giornalista Chiara Brilli, passando in rassegna, oltre al dramma della Shoah, la deportazione di oppositori politici, degli internati militari italiani, della comunità Lgbtqia+, di rom e sinti, dei testimoni di Geova e delle persone con disabilità o problemi psichici da cui tutto ha avuto inizio, nell’aberrazione di una società costruita per sottrazione, con l’eliminazione di chi veniva vissuto solo come un costo o ritenuto estraneo a determinati canoni.
Un viaggio di nuovo dove protagonisti sono i volti, le voci e la storia. “Perchè – come dice Bravi dal palco – Auschiwitz non si può solo raccontare o visitare. Bisogna capire il percorso che ha portato fino a lì: dobbiamo attraversarlo e ci riporta al presente”.
Ecco così la storia degli Imi, gli internati militari italiani, e di Michele Montagono, classe 1921, studente di giurisprudenza di famiglia fascista che, dopo l’8 settembre 1943, assieme ad altri quasi 700 mila soldati italiani dice no alla Repubblica di Salò e sceglie di non continuare a combattere con i tedeschi, diventando antifascista. Quei soldati non saranno più considerati, dopo il 20 settembre, prigiornieri di guerra e così utilizzati come manodopera per l’industria bellica, non più protetti dalla Convenzione di Ginevra del 1929 e dalla Croce Rossa internazionale.
Ecco la storia anche del toscano Marcello Martini, giovanissimo deportato politico, appena adolescente, a Mauthausen, un campo per irriducibili dove chi entrava difficilmente ne usciva, annientato con il lavoro. Marcello è sopravvissuto e tante volte, fin quando in vita, è stato testimone con gli studenti del treno e della giorno della memoria toscana. Ricordava spesso alle ragazze e ragazzi: “Siate curiosi e imparate, non solo a scuola, perché ti possono levare tutto e puoi ritrovarti letteramente nudo come io mi sono ritrovato in questo campo, ma quello che sai fare non te lo leva nessuno”.
Sul palco le storie si rincorrono, ma la mattina è quasi al termine e la scaletta impone di accelerare i tempi. Noel Maggini, stilista sinto di Prato, parla del genocidio non raccontato di rom e sinti e delle discriminazioni che sono proseguite e proseguono fino ad oggi. Storie di pregiudizi non cancellati che riguarda anche la comunità Lgbtqia+, deportata nei campi di sterminio e ghettizzata. Fin dal 1871 in Germania il codice penale considerava un crimine i rapporti sessuali tra uomini. I nazisti ampliarono nel 1935 la portata di quell’articolo, abolito solo nel 1994 (e dunque solo in tempi recentissimi) sia pur attenutato dopo il 1969. Ci sono anche storie inedite o pochissimo conosciute come quelle dei Testimoni di Geova, fuori legge per il governo della Germania dal 1933, vittime di persecuzioni e deportazioni, uccisi con fucilazione, impiccati e a volte a anche decapitati con la ghigliottina. Solo perché qualcuno li riteneva diversi.
Parla ai ragazzi nell’ultima parte dell’evento anche Annalisa Savino, la dirigente scolastica del liceo scientifico Leonardo da Vinci di Firenze che, dopo le violenza commesse da un gruppo di giovani di estrema destra, scosse l’opinione pubblica con una lettera di indirizzata alla sue studentesse e studenti. Dal palco evidenzia l’importanza nelle scuole della formazione all’antifascismo. Scorrono i titoli di coda e nel ringraziare i tanti giovani presenti ed attenti ci pensano l’assessora Nardini e Ugo Caffaz, consulente per le politiche della memoria, inventore di fatto del treno della memoria toscano e coordinatore di molte edizioni.