Zootecnia: 'Solo un terzo delle carni consumate sono made in Tuscany al 100%'
Progetto “VITOSCA” per chiudere la filiera e sostenere le stalle. Firenze: Incrementare il numero di bovine da carne nate, allevate, macellate e commercializzate con il marchio “Toscana – Toscana” per ridurre la “dipendenza” da altre regioni garantendo alle imprese zootecniche maggior valore aggiunto ed opportunità sul mercato.
Sono le sfide del progetto “Vitosca” di cui è capofila del gruppo operativo l’Associazione Regionale Allevatori della Toscana che ha dimostrato come la Toscana, patria della bistecca patrimonio immateriale dell’Unesco, possa aumentare la propria produzione di carne 100 % toscana attraverso un nuovo modello produttivo che punta a chiudere la filiera. I risultati del progetto, insieme alle nuove metodologie introdotte, sono stati presentanti nell’ambito di un webinair molto partecipato che ha coinvolto tutti i partner del progetto finanziato dalla sottomisura 16.2 del Piano di Sviluppo Rurale.
“Il progetto – spiega Luca Arzilli, coordinatore di Vitosca e responsabile del Piano Strategico del gruppo operativo – ha ampiamente dimostrato, sul campo, in questi quattro anni di sperimentazione, che è possibile introdurre nelle stalle toscane un nuovo sistema di allevamento che valorizzi la qualità delle carni aumentando la redditività delle imprese zootecniche. Tutto questo senza incrementare né il numero di vacche da latte, né il numero di parti ma partendo dallo stesso numero di capi. Lo abbiamo fatto ottimizzando l’attività riproduttiva delle vacche da latte e le metodologie di miglioramento genetico, realizzando centri di svezzamento dei vitelli meticci ottenuti da vacche da latte e tori da carne, utilizzando stalle da ingrasso già presenti e operative in Toscana e valorizzando le carni ottenute assicurandone e certificandone la qualità mediante il marchio Toscana-Toscana”.
La Toscana parte da una situazione di gap rispetto ad altre regioni. “Oggi solo un terzo del fabbisogno alimentare dei consumatori toscani viene soddisfatto dalle carni nate, allevate, macellate in regione, tutto il resto proviene da capi importanti per la sola macellazione o principalmente importanti per il ristallo ovvero ingrassati altrove. – spiega ancora Arzilli – Questo rappresenta per le stalle toscane un elemento di fragilità”. Fragilità che il progetto ha mostrato poter ridurre portando alla produzione di più vitelli da carne partendo dalla fecondazione artificiale di vacche da latte con tori da carne.Un metodo che ha mostrato incrementare in maniera sensibile il numero di vitelli da carne. “Questo percorso progettuale, fatto per altro in un clima complicato come quello della pandemia, ha stimolato diversi allevamenti a specializzarsi nella fase di svezzamento che è uno dei tasselli della filiera che mancava. La sperimentazione sul campo ha permesso agli allevatori coinvolti di toccare con mano i benefici di questo modello produttivo che sono misurabili economicamente. L’interesse commerciale per i vitelli da incrocio da parte del mercato è molto superiore rispetto ad un vitello in purezza ed i margini di guadagno per le imprese sono nettamente superiori”. Il progetto ha mirato infine ad introdurre la valutazione del benessere animale e della biosicurezza, elemento sempre più richiesto nella fase della commercializzazione delle carni.
Al progetto hanno partecipato, oltre all’Associazione Regionale Allevatori della Toscana che ne è capofila, due allevamenti di vacche da latte, la Cooperativa Agricola di Firenzuola CAF con la stalla da ingrasso di Pilarciano e il Centro carni del Mugello, il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Ambientali e Forestali DAGRI dell’Università di Firenze, l’Istituto zooprofilattico Sperimentale del Lazio e Toscana, lo Studio Demetra e il Centro Assistenza Imprese Coldirettti Toscana CAICT.