Violenza, sicurezza e comunità. Lettera aperta a istituzioni e cittadini

Grosseto: «Si parla da mesi, da anni ormai, della sicurezza nella nostra città - scrive Maria Claudia Rampiconi -, principalmente in termini di telecamere, sorveglianza e con un'idea di sola repressione. I casi di cronaca nazionale ci mostrano in parallelo un'impennata di casi legati alla violenza di genere, degli uomini sulle donne, con un crescendo che definire preoccupante è eufemismo.

Appare ormai chiarissimo a tutti che la violenza sulle donne è stata sdoganata come occorrenza sociale "normale", se non derubricata talvolta a caso di cronaca secondaria. Ne siamo ormai circondati e siamo sostanzialmente abituati a tutto questo, anche alle sue narrazioni sui media. Conosciamo lo schema di potere e devianza in cui si verifica la violenza, sappiamo già come verrà raccontata e siamo sostanzialmente piegati all'idea che non verrà fatta giustizia neanche nei casi più eclatanti, viceversa tifiamo per la legge del taglione.

Per questo è importante dire con forza, tutti e tutte insieme, senza distinzione di credo né di convinzioni politiche, che la violenza (specialmente) sulle donne è un'emergenza sociale e culturale, e come tale va inquadrata e affrontata.

Non si contano più i casi di femminicidio e stupri nelle nostre città, gli ultimi particolarmente efferati e con dettagli raccapriccianti sulla cronaca: non possiamo restare a guardare, non solo e non tanto come organizzazioni partitiche, ma come comunità intera.

Non esiste una soluzione univoca per risolvere questo dramma, né invocare pene esemplari in piazza risolverà alcunché.

Esiste però la collaborazione di tutti gli enti, di tutti gli attori del sistema e del sistema intero. Anche nella nostra città, che vive a fasi alterne emergenze legate alla sicurezza e alla vivibilità.

L'educazione deve partire dal contesto famigliare, proseguire e rafforzarsi nella scuola e nei contesti sportivi, laici, religiosi di qualunque vocazione. E nei casi di fragilità sociale, con la famiglia assente per vari motivi e la scuola che fa quel che può, deve intervenire con educatori e formatori di altri enti e strutture.

Veramente vogliamo aspettare la tragedia anche a Grosseto? Davvero non ci interessa il futuro delle nostre figlie, compagne, mogli, madri? La telesorveglianza da sola non è la risposta. La pura repressione con spiegamento imponente di forze di polizia neanche.

Questi episodi sono frutto di una mentalità profondamente maschilista e violenta che per troppo tempo ha avuto riscontro nel nostro Paese, l'idea di una mascolinità tossica e violenta che considera le donne pezzi di carne e oggetti a disposizione (il bacio rubato del presidente della Federcalcio spagnola alla calciatrice Jennifer Hermoso ne è perfetto esempio). La de-umanizzazione dei corpi femminili porta ai casi di violenza più estrema e vigliacca.

A casa, nelle famiglie, spesso non ci sono adulti responsabili, né in grado di intraprendere e sostenere percorsi educativi. La scuola da sola non può fare tutto. Lo sport da solo non basta, spesso si interrompe o non si inizia nemmeno in giovanissima età. La chiesa non è luogo frequentato in modo uniforme. Gli uomini e le donne delle forze dell'ordine spesso non sono adeguatamente formati per questo genere di interventi.

La povertà educativa, una scarsa propensione a comprendere davvero l'importanza del linguaggio e del comportamento che ne consegue, atteggiamenti violenti respirati fin dalla tenera età già in famiglia possono creare il terreno culturale perfetto per sfociare in episodi come quello di Palermo. Ieri Palermo, domani un'altra città: è solo questione di tempo.

Non possiamo restare indifferenti, questa emergenza ci riguarda tutti e tutte.

Dobbiamo fermarci, incontrarci tutti e tutte, istituzioni, partiti, associazioni, agenzie formative, organizzazioni professionali, e pensare a cosa possiamo fare affinché questi episodi non siano la normalità, per prevenire il peggioramento e il degrado continuo.

Creiamo una rete sociale e culturale, parliamoci, troviamo il modo come genitori, madri e padri, come professionisti, come istituzioni, di superare barriere ideologiche e di mettere in comune il valore della centralità della persona come individuo con diritti e doveri.

Pensiamo a come recuperare un senso di comunità che non isoli i potenziali carnefici e tantomeno le vittime, e che responsabilizzi ognuno di noi verso il bene comune.

Rendo pubblico il mio indirizzo e-mail per ricevere riflessioni, dubbi, proposte di chiunque vorrà contattarmi in merito: clarampiconi@gmail.com».