“L'occhio di Bianciardi su Fattori”

La letteratura incontra la pittura nel nuovo evento del Centenario. 21 luglio ore 18.30 - Clarisse

Grosseto: La letteratura incontra la pittura attraverso lo sguardo di Bianciardi su Fattori. Un nuovo importante appuntamento per il Centenario di Bianciardi si terrà giovedì 21 luglio alle 18.30 nella sala conferenze delle Clarisse, in via Vinzaglio a Grosseto. L'incontro “L'occhio di Bianciardi su Fattori. Spunti per una mappa di estetica” è organizzato in collaborazione tra Fondazione Luciano Bianciardi e Polo culturale Le Clarisse. All'intervento della direttrice scientifica della Fondazione, Lucia Matergi, seguirà una visita guidata alla mostra “Paesaggi di Toscana, da Fattori al Novecento” insieme al direttore di Clarisse, Mauro Papa. L'ingresso alla mostra costa 3 euro. La prenotazione (inviare una email all'indirizzo: prenotazioni.clarisse@gmail.com) per partecipare all'incontro letterario e artistico è consigliata ma non necessaria.


Come si legano i nomi dello scrittore e del pittore?

Nel 1970 nella collana “I grandi maestri dell’arte” a cura di Bruno della Chiesa esce per la casa editrice Rizzoli la monografia di Fattori con presentazione di Luciano Bianciardi. Quali possono essere i motivi per cui uno scrittore non particolarmente interessato al mondo della pittura si metta a questa prova? Vero è che si contano altre precedenti esperienze di campo analogo: per lo più si tratta di contributi ad alcune mostre di pittori gravitanti nell’orbita ligure, come Ettore Sardo e Luigi Grande, che Bianciardi ha modo di conoscere e apprezzare durante gli anni di Rapallo. E poi, per rimanere nel campo della pittura, Furio Cavallini, alla cui attività espositiva Bianciardi fornisce il proprio contributo critico. Cavallini, nativo di Piombino ma cresciuto tra Cecina e Riparbella e trasferitosi a Milano nel 1957 ,diventa il naturale compagno di ventura di Bianciardi, già da tre anni nella metropoli lombarda. Sui tratti comuni della migrazione e della generazione campeggia proprio la conterraneità, quell’essere entrambi “toscani della costa”, secondo la definizione coniata da Bianciardi come titolo degno di orgoglio, legato alla capacità di provare “passione schietta”. Un’etichetta da applicare a Cavallini e anche a lui stesso, ma inventata per Giovanni Fattori, l’altro grande toscano che incontra l’interesse dello scrittore tanto da dedicargli la presentazione della monografia.

Già gli accenni alla comune patria, la Toscana della costa, forniscono qualche traccia utile per rispondere alla domanda iniziale: perché Bianciardi scrive di Fattori? Il tema è già stato affrontato Antonella de Nicola che, nel suo saggio “Dinamiche traduttorie nella storia di Daghela avanti un passo!” (In Bianciardi, Ottocento come Novecento”, Quaderni 11 Fondazione Luciano Bianciardi, ExCogita Editore), indaga l’approccio di Luciano Bianciardi con gli autori tradotti. La studiosa prende una linea inesplorata e inconsueta quando si occupa del rapporto di Luciano Bianciardi con Giovanni Fattori, inserendolo tra i non numerosi esempi di quell’affinità etica e artistica da cui il nostro scrittore verrebbe segnato: “un rapporto de facto fondato su una comune origine maremmana (se pur appartenenti a poli diversi della Maremma: quella settentrionale nel caso di Fattori, centrale nel caso di Bianciardi), su una comune visione del Risorgimento, e di conseguenza sulla medesima attenzione alle sofferenze del popolo”.


«Motivi ben riscontrabili nell’opera di entrambi, che vale la pena approfondire – osserva Lucia Matergi, direttrice scientifica della Fondazione Bianciardi – per recuperare alcuni elementi di dettaglio che si possono rivelare preziosi ai fini di una valorizzazione delle scelte bianciardiane e soprattutto di una ricostruzione filologicamente corretta del suo percorso di scrittore, liberandolo dalle etichette di improvvisazione ed estemporaneità che troppo spesso gli si sono addossate. Il viaggio inizia dalla categoria del Risorgimento, visto nell’ottica alternativa ai rituali dei benpensanti da un Fattori anticonformista per carattere e scelte, protagonista di una vita in cui la passione per le vicende politiche italiane del suo tempo si intreccia con un anticonformismo nutrito di distacco rispetto all’ambiente dell’accademia dell’arte e di estraneità nei confronti del bel mondo fiorentino, al quale egli contrappone i dibattiti artistici e politici del caffè Michelangiolo. Da quelle discussioni emerge il suo Risorgimento che, pur amato e vissuto intensamente, non ha niente di spettacolare ma è fatto di retrovie, di abbandoni successivi alle battaglie, di soldati stanchi sui loro cavalli a capo chino. Bianciardi si sente vicino a questo artista dalle passioni semplici e ferme, a partire proprio dall’interesse per la stagione risorgimentale e per la sua rappresentazione antieroica: anche per lui quella è una stagione storica tanto congeniale da diventare un presente librato tra invenzione e ricostruzione storica, magari popolato dalle figure di quell’universo milanese ormai sua seconda patria più odiata che amata. E’ il caso del funambolico e disperato “Aprire il fuoco”, in cui sia il registro tonale sia il pastiche di generi di scrittura inclinano a una interpretazione riduttiva del Risorgimento, tutta proiettata sulla sponda dell’ironia, quando non dell’autoironia, visto che dovunque occhieggiano spunti che rimandano alla figura-personaggio dell’autore stesso. E’ una cifra costante, che corrisponde alla volontà autocritica tipica dello scrittore, ma che evidentemente non esclude altre visioni di antieroismo.

 E in tal senso Bianciardi apprezza le opere di Fattori, in cui l’antiretorica si mantiene sempre sul piano della severità e dell’ammirazione, in un’impostazione totalmente anti divertissement. Una vera e propria lezione di serietà che Bianciardi trova nelle raffigurazioni risorgimentali del grande macchiaiolo e di fronte alle quali, superata la tentazione trasformista del passato, esprime un’adesione tanto convinta da guidarlo in una lettura acuta e originale, che esula dalla pura competenza tecnica, per attingere a percorsi alternativi di indagine. Il suo è uno sguardo di antropologo e di semiologo: i segni della pittura diventano occasioni per una riflessione che trova poi nella soluzione pittorica il suo punto di arrivo. Un esempio di questo procedimento si osserva nell’intuizione del senso delle figure di spalle, un tratto ricorrente dei quadri di Fattori con soggetto di battaglia. Bianciardi insiste su questa scelta che diventa, nella sua interpretazione, segnale esplicito di antieroismo. Se l’eroe si caratterizza per il gesto retorico per eccellenza, quello dell’offerta del petto ai colpi del nemico, per contrapposizione l’esibizione delle spalle diventa a propria volta segnale retorico della fuga, del ripiegamento, della guerra come assoggettamento di chi è condannato solo a obbedire. E’ questo il punto decisivo per arrivare alla relazione che più sta a cuore a Bianciardi e al suo Fattori, quella tra la guerra e gli umili, quelli cioè che sopportano il vero peso delle conquiste o delle sconfitte e sono dimenticati dalla grande storia. La Maremma è mondo di umili, nella stessa misura in cui il Risorgimento non è lotta di titani e il Bianciardi ammiratore del Risorgimento non può che sentirsi attratto dalla Maremma come maledizione degli sventurati che l’hanno popolata».