Un consiglio di lettura per l’anno giubilare 2025: Il libro “Adesso Basta!” di suor Daniela Solustri

Grosseto: La paleografia è una disciplina interessante e lo stesso la codicologia. Per studiare documenti antichi, gli esperti di questi due settori applicano severi protocolli disciplinari. Dietro ogni scritto c’è un’epoca da rintracciare, una cultura da indagare, una persona da individuare. E laddove quest’ultimo punto non è possibile, si utilizza un termine generico: scriba.

In molte carte di guardia medievali, a un certo punto si rintracciano righe di testo apparentemente slegate e senza senso, oppure minuscoli disegni, o ancora elencazioni di parole. Gli scribi si distraevano e giocavano un secondo? Volontariamente sfregiavano la bellezza di una pagina del lavoro amanuense, per dispetto verso qualche collega? Che significato reale hanno quei pensieri a margine, quegli svolazzi scritturali o artistici?

Una risposta sensata c’è: la probatio pennæ. La penna, letteralmente la parte di piumaggio più robusta di un animale, esigeva per l’uso di essere tagliata in un certo modo e poi di essere provata. Quelle frasi, quelle parole, quei disegni erano prove per testare l’efficacia e il buon funzionamento dello strumento scrittorio. Talvolta la penna era già abbondantemente consumata, e allora si trattava solo di prove tecniche per abituare polso e mano a un altro carattere di scrittura.

La probatio pennæ oggi, con l’era tecnologica e informatica, non ha più diritto di esistenza. Tuttavia, per qualsiasi autore, ogni primo libro rappresenta quel gesto: rompere gli indugi, affinare gli arnesi, lanciarsi in un’avventura editoriale e redazionale.

Il timore e l’impazienza verso le nostre stesse incapacità, ci fa percepire il peso gravoso di tale sfida. Parlare dell’ousìa di una cosa che è quella che è, e non altra, è complesso. Si può tendere a una trascrizione elegiaca verso ogni spettacolo esistenziale ritenuto glorioso. Oppure si può rifuggire verso una lingua ignota e “costruita”, come diceva la religiosa benedettina Ildegarda di Bingen, una lingua innovativa che veli e smussi. Si può essere totalmente autoreferenzialisti. O abbandonarsi a un punto di determinazione esteriore che ci dipinga con assoluta obiettività. Dunque, alla fine del faticoso lavoro scritturale complessivo, di un beta reader e di un cdb, cioè di un correttore di bozze, appare urgente richiederne la collaborazione. Improcrastinabile questo tipo di aiuto esterno per giungere alla pubblicazione.

E se l’uso di sigle e di inglesismi oggi va di moda, beta reader e anche cdb si possono però condensare in un unico termine: relazione. Tra alfa e omega, un piccolo beta ci sta. Dio richiede a tutti una compartecipazione. Lo ha richiesto Egli stesso all’umanità storica, per mettere su carta il Suo Verbo. Lo richiede a noi oggi, per camminare in una relazione non imposta ma condivisa con Lui.

Tutto questo l’ho capito meglio un 1° luglio di due anni fa. Cosa poteva mai accadere nel giorno estivo che decreta la metà esatta di un anno, l’istante centrale che suddivide i 183 giorni dall’inizio dell’anno dai restanti 183 dalla fine? In tale data si celebra anche la festa religiosa del Preziosissimo Sangue di Cristo. Un giorno, dunque, estremamente significativo ed evocativo per qualunque sentire spirituale. Partecipando a un corso professionale, una linea di tesatura elettrica friccicante mi ha connessa ad altri pali di luce radiante e non potevo non percepirlo. Tutto si è svolto velocemente, come se io fossi mossa da una scossa benigna, perfetta nei volt e nella risultanza luminosa. Sono entrata nella sala dove si svolgeva l’evento, ho firmato la presenza, ho salutato qualche collega e alla fine, con un ampio sguardo, ho abbracciato la platea in cerca di un posto a sedere.

C’era una monaca. Ho pensato: “Vado a sedermi da lei, starò bene. Scambiarci due chiacchiere piacevoli tra una pausa e l’altra sarà piacevole. E ho proprio voglia, dopo diverso tempo di digiuno, di parlare di cose sacre”.

Suor Daniela mi è rimasta seduta accanto tutto il tempo. Mi ha accolta, mi ha ascoltata, mi ha raccontato. Abbiamo scoperto di avere una spiritualità carmelitana in comune, io da laica, lei da religiosa. Abbiamo scoperto di amare scrivere libri. Nella pausa, le ho comprato al bar una pastarella vuota. Volevo condividere qualcosa non solo a parole, ma anche tangibile. Il pasto comune. Poi, all’ultimo secondo, le ho donato anche i santini benedetti della Madonna nera del Tìndari, tutti quelli che avevo in borsa e che per strana coincidenza bastavano a rifornire lei e tutte le sue consorelle nel monastero dove abita al Cerreto di Sorano. Chi mi conosce sa bene che lo faccio sempre, con chiunque incontro e che so essere credente.

La Madonna nera del Tìndari si festeggia l’8 settembre. E anche questa è una data che ci accomuna: il mio onomastico, la sua professione religiosa che è avvenuta proprio in tale data.

Non so cosa mi ha mossa e guidata quel giorno. Anzi: lo so. So di aver conosciuto Suor Daniela perché doveva rompersi la punta di una penna in modo che si potesse iniziare, o continuare, con rinnovata tenacia, a scrivere una bella storia. Suor Daniela ha ascoltato la mia storia, infatti, e avrà pensato: “Eddài, se c’è l’ha fatta a diventare scrittrice lei…” Io ho ascoltato la sua storia e ho pensato: “Eddài, se non ce la fa a pubblicare lei…”

Questa storia, dunque - che non ho scritto io e forse nemmeno lei – mi è apparsa subito come non avente bisogno di costruzioni artificiose. La lingua ignota di Ildegarda di Bingen che rilessifica i termini tramite 23 lettere trasmutate per fini mistici, che inventa parole che riprogrammano la realtà con neologismi mossi da spinta etica e morale, che vogliono rivoluzionare le parole in modo da essere sempre più vicine al linguaggio divino, non è un sofisma necessario quando si parla della vita. Suor Daniela scrive di sé, della sua vita come atto di amore donato verso Dio, come goccia di rugiada illuminata dalla luce di Lui. Io ho letto le bozze, correggendole, sto rileggendo il libro pubblicato, gustandomelo. E in questa azione di lettura reiterata ho ritrovato e ritrovo anche un po’ di me.

Sono sempre più convinta di essermi seduta su quella poltroncina, accanto a lei, quel giorno, perché avevo bisogno io di leggere una storia altrui, che mi riconsegnasse Lui. Eravamo agganciate a due sedute diverse. Ma a un’unica missione.

Lei quindi adesso ha pubblicato; io che ho corretto, consigliato, aiutato per mesi nella revisione servizievole e nel confronto amichevole, ora ri-leggo il risultato finale. Relazione... Questa è l’unica definizione, l’unica parola essenziale, capace di descrivere l’entità del mistero di ogni incontro, anche del nostro quel giorno. Una relazione trinitaria terrena e celeste rituale: Dio detta, l’amanuense trascrive, l’essere umano legge.

Suor Daniela in questo – a detta sua – libercolo edito da Effigi, dichiara spesso, e non solo nel titolo: “Adesso basta!” Questo grido lo dissemina tra le pagine con una lievità e una gravità che mi hanno da sempre commosso, fin dalla prima lettura che ne feci. Un imperativo così, che quando si è bambini ci blocca e ci spaventa, talvolta ci rompe i timpani per fermarci di fronte a un pericolo, impedendoci magari di attraversare una strada ad alta velocità, da adulti assume altre sfumature. Adesso basta! diventa: è l’ora di cambiare vita. Oppure, Adesso basta! è quello che ci diciamo quando capiamo che non si può pensare di correre sempre e solo facendo affidamento sulle proprie gambe, sulle proprie risorse: è necessario affidarsi a qualcuno che ci sorregge, è necessario lasciarsi accarezzare le guance dal vento dello Spirito, lasciarsi abbracciare. Adesso basta! è il mi affido a Te, mi hai convinta.

Ma il pensiero corre al do ut des: come ricambio questo Suo sostenermi nel mio abbandono? Beh, Adesso basta! anche cercare moti propulsori che ci spingano a ricambiare nella relazione, costrettamente, necessariamente. Devo darti qualcosa, Dio. Tu mi hai riempita di grazia… devo contraccambiare… Devo… Devo… No, invece. Perché niente di ciò che è terrestre e umano, sarà mai un giusto dono da portare quando si andrà a trovarlo a casa sua. Ogni cosa fatta, ogni cosa pensata, ogni cosa realizzata, risulterà sempre una minutaglia scandalosa, una sciocchezza di nessun valore rispetto al Suo averci donato la vita.

Consapevoli di ciò, ci sentiamo spesso sopraffare dal disagio: che figuraccia che facciamo, continuamente, di fronte a Lui. Anche un atto scritturale... come appare sempre imperfetto, impreciso, indegno di parlare di Lui e della relazione con gli altri tramite Lui. Prima di darlo davvero alle stampe, quante limature da scrittrice, quanti consigli da lettore beta, quante correzioni da cdb… C’è tanto, tanto lavoro da fare e ogni volta riprende lo sgomento di un risultato non ancora buono da mandare in rotativa. Mille ripensamenti, mille rielaborazioni… Un affanno ingiustificato, ma comune. Poi il pensiero decisivo: Adesso basta! Per un motivo molto semplice: “L’anima mia era come un libro nel quale il Padre leggeva meglio che io stessa”, diceva santa Teresa di Lisieux. Non c’è da scrivere nulla di perfetto, oltre quello che già Lui ha scritto per noi. Ci è richiesto solo di “amare sino a morire di amore”. Se questo alberga nel nostro processo comunionale e cammina - a volte meno rapido, a volte più spedito - dentro il nostro ondivagare da proficienti, se comprendiamo che tutto il fare, il vivere è relazione pro bono, ad un certo punto è necessario cessare l’affanno della corsa alla perfezione, placare l’ansia: Adesso basta! Chi siamo e come siamo, e come e quanto imperfettamente o perfettamente ricambiamo il Suo innestarci in relazione, ad-esso-basta. Se abbiamo o non abbiamo una gamba o un braccio, se siamo sani o malati, se sappiamo scrivere autoralmente o se siamo semplici scribi sotto dettatura, se possediamo e valorizziamo i talenti evidenti o meno, non ha nessuna importanza. Ha importanza se amiamo come Lui ci ama. Ha importanza il nostro sì, mossi dalla circumsessĭo trinitaria. È questo che ad-esso, e sempre, basta. O meglio: che ad Esso, con la E maiuscola, basta.

L’imperfezione a volte non si accetta, come non si accetta la sofferenza fisica. Ma non dipendendo dalla nostra volontà, hanno entrambi ammissibilità a esistere. Il tentennamento, la titubanza ingiustificata invece, no, non devono permanere e possiamo e dobbiamo debellarli. Ogni volta temiamo di tagliare il calamo della piuma e dare il via al rito della probatio pennæ. Invece bisogna fare, agire, dire sì, senza paura di sbagliare. Adesso ad Esso! Questa è l’unica cosa che conta ed è l’unica cosa che basta. Bisogna spostare l’accento da un avverbio di tempo della grammatica umana, ad una “parola d’autore” diversa. Bisogna osare parole d’Amore nuove.

Non sempre ci riusciamo, ovvio. Rompere la punta della penna… lasciarsi rompere… per diventare opere d’arte nelle Sue mani, non è facile. Ci manca il coraggio di affidarci e di lasciarci plasmare. Ci blocca la fatica, l’insicurezza, la sofferenza. Ma sono davvero convinta che sia sempre il Suo Amore a primeggiare, ad andare oltre ogni nostro sciocco, quotidiano, scorretto divagare tra mille puntini di sospensione... Che sia Lui l’Azione che muove all’azione. A Dio, quanto noi possiamo in Lui sufficit. A Dio, che ama a prescindere, ogni prova di calamaio, compresa quella di suor Daniela ai margini della sua pagina, finalmente giunta alla luce, basta.

Il libro “Adesso Basta!” di suor Daniela Solustri, edito da Effigi, verrà presentato il 7 gennaio presso la sala Friuli della chiesa di San Francesco, in centro storico a Grosseto.