"Dopo di Noi". Sul futuro incerto dei disabili interviene la presidente di AIPD

Grosseto: «Dopo gli articoli di questi giorni sul futuro buio e preoccupante delle persone disabili, come presidente dell’Associazione italiana persone Down (Aipd) di Grosseto, ma soprattutto come genitore - scrive Sara Restante -, mi preme prendere spunto da un dibattito, quello sul Dopo di Noi, che riguarderà anche il futuro probabile di mia figlia, e di molte persone come lei. Ma non solo, perché lei disabile ci è nata, ma chiunque di noi lo potrebbe diventare.

Un futuro di cui si parla sempre in termini di “dopo di noi”, ma che in realtà viene determinato da un “durante” e da un “prima di noi”, caratterizzati da una carenza di servizi di presa in carico già alla nascita delle persone con disabilità, tralasciando la questione spinosa e tragica della scuola. Con il risultato che chi è disabile avrà sempre meno possibilità di dire la propria su come e dove vorrà vivere.

La nostra associazione lavora da vent’anni perché una persona con sindrome di Down possa decidere di vivere in casa propria (con la famiglia) o in casa con altre persone che ha scelto. Col sostegno di operatori, lavorando e mantenendosi in autonomia. Magari aiutando il coinquilino inabile al lavoro a pagare vitto, alloggio e operatore.

Tutto questo sarebbe molto bello, ma rimane di difficilissima realizzazione. Perché i sostegni economici non sono sufficienti. Per cui persone che dovrebbero essere messe in grado di scegliere, come tutti noi, un domani si troveranno costrette a vivere in strutture “adeguate”(?). Cosa che di fatto rende impossibile capovolgere la narrazione sbagliata e abilista che viene fatta della disabilità.

Premetto che sono per favorire la scelta personale, finanziando il co-housing in maniera permanente. Non progetti che ogni anno vanno rimodulati o cessati. Voi cambiereste famiglia e casa ogni anno?

Ma c ‘è un altro grosso problema: le persone con sindrome di Down che per motivi vari legati ad anzianità, patologie fisiche o psicosi gravi, ma anche in stato di disagio sociale o di rifiuto da parte delle famiglie, non trovano una propria dimensione di socializzazione per mancanza di centri diurni ben organizzati e di personale preparato. Come ne miglioriamo la qualità della vita? Pubblichiamo annunci sperando vengano adottati? Le chiudiamo a vegetare in strutture confinanti (nemmeno quelle ci sono)? O vogliamo provare a promuovere realtà vivaci e dinamiche, dove attività occupazionali e educative favoriscano la socializzazione con giovani operatori e volontari, arricchendone la vita di esperienze?!

Una ricerca nazionale del Censis in collaborazione con Aipd ha evidenziato molte criticità, tra cui la mancanza totale di attività: “il dato di chi sta a casa, non essendo impegnato in alcuna attività, si alza drasticamente al crescere dell’età e raggiunge il 44,8% tra chi ha 45 anni e più. In questa fascia d’età solo il 9,1% lavora, mentre il 41,3% frequenta un centro diurno, che assume il ruolo di punto di riferimento importante per uscire di casa ed essere impegnato in qualche attività…. Rispetto alla frequenza di centri diurni, l’ambito territoriale in cui è meno diffusa è invece il Centro (9,9% contro la media del 18,1%). Più elevata al Sud (33,7%) la percentuale di persone con sindrome di Down (sD) che non svolge alcuna attività….

Nella attuale percezione delle famiglie, il futuro della persona con sD di cui si occupano è dunque contrassegnato da “livelli di autonomia ridotta, in cui la prospettiva più probabile rimane il prolungamento della presa in carico familiare, allargata a fratelli o ad altri parenti. Sfuma infatti per i caregiver dei più adulti l’idea prevalente di una vita autonoma o con un supporto parziale di operatori e si amplia, insieme a quella familiare, l’ipotesi di una soluzione protetta (casa famiglia, comunità) e perfino quella dell’istituto, che resta comunque minoritaria anche per i più adulti. Una prospettiva futura che si inserisce nella esperienza quotidiana di una serie di difficoltà finora sperimentate dalle famiglie, che appaiono comunque trasversali ai territori e con poche differenze legate alla fase di vita della persona con sD”.

Prevalgono nettamente le difficoltà a promuovere l’integrazione nella scuola e nella società in generale (indicate dal 51,3% dei caregiver) e quelle ad orientarsi tra i servizi sociali e sanitari (48,1%). Mentre le difficoltà economiche sono richiamate dal 12,9% e quelle psicologiche ad accettare il figlio e convivere con la situazione da una quota simile, pari all’11,9%.

Il dato è ancora una volta quello che sottolinea la carenza dell’integrazione sociale. E, nello specifico, riguardo ai problemi dell’assistenza, le famiglie intervistate segnalano ancora una volta una difficoltà di orientamento, il dover fare da sole, il rischio di perdere i riferimenti una volta usciti dal sistema scolastico e nel passaggio all’età adulta, le difficoltà di inserimento lavorativo.

Questo elenco di difficoltà segnala chiaramente una carenza di presa in carico complessiva. L’assenza nei fatti di quel progetto di vita condiviso che pure è indicato, spesso solo sulla carta, come obiettivo dei servizi che supporti ed accompagni le famiglie nella loro complessa e quotidiana esperienza di caregiver.

I caregiver intervistati affermano la rilevanza del ruolo delle associazioni a cui appartengono o sono comunque collegati, indicate dal 72,3% come i soggetti che più hanno fornito informazioni utili e supporto. Dal momento che altri soggetti, come amici e conoscenti, il pediatra di libera scelta e/o il medico di famiglia sono citati da quote molto più contenute…

Quest’analisi evidenzia una volta di più l’onerosità del carico assistenziale per le famiglie. “Anche sotto il profilo economico, sia rispetto alle spese che sono obbligate a sostenere per garantire attività essenziali alle persone con sD, che con riferimento al grande valore del tempo impiegato per attività di assistenza. A fronte della grave carenza di servizi pubblici su questo fronte strategico”.

Per questo abbiamo inviato i dati agli enti preposti del territorio - conclude Sara Restante -, invitandoli a un confronto di merito che riteniamo non più rinviabile».