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Apertura di bar e ristoranti e calo dei contagi, Fipe-Confcommercio: 'La fine di un luogo comune'
Il presidente di Fipe-Confcommercio Toscana Aldo Cursano: “Dati alla mano, possiamo finalmente dimostrare che i nostri locali non sono luoghi di contagio".
Firenze: "Apprezziamo il segnale che il Governo Draghi ha voluto dare al Paese e al sistema economico, perché finalmente abbiamo delle date per programmare le riaperture, ma ci aspettavamo un po' più di coraggio. La ripartenza completa del lavoro solo dal 1° giugno è insufficiente perché in questa situazione di crisi anche pochi giorni possono fare la differenza”. Il settore dei pubblici esercizi esce devastato dalla pandemia: nel 2020 la Toscana ha perso circa tre miliardi di euro di fatturato, oltre 20mila posti di lavoro (20.548) e un migliaio di imprese (973).
Nel 2020 la Toscana ha perso circa tre miliardi di euro di fatturato, oltre 20mila posti di lavoro (20.548) e un migliaio di imprese (973) nel solo settore dei pubblici esercizi. È quanto emerge dal Rapporto annuale sulla ristorazione realizzato dall’Ufficio Studi di Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) e presentato ieri (18 maggio 2021) a Roma alla presenza del ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti e del presidente della Fipe Lino Stoppani.
A fornire il dettaglio dei dati regionali è Confcommercio Toscana. “La sfiducia è ai massimi storici per il mondo dei pubblici esercizi. Nel 2020 in Toscana hanno aperto 570 nuove aziende a fronte di 1.543 cessazioni. Ma il dato sulla mortalità è ancora falsato”, precisa il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni, “molte aziende sono sotto anestetico: indecise sul da farsi, stanno in bilico tra la vita e la morte aspettando di avere liquidità sufficiente a chiudere. Perché anche cessare l’attività rappresenta un costo proibitivo per chi, come il 97,5% degli imprenditori di bar e ristoranti, ha perduto parte importante del fatturato: oltre il 50% per sei su dieci”.
“Il nostro settore esce devastato dalla pandemia”, sottolinea il presidente della Fipe toscana Aldo Cursano, che è anche vicepresidente vicario nazionale della categoria, “e insieme alle nostre imprese esce con le ossa rotte anche l’intero sistema di accoglienza italiano e uno stile di vita che da sempre ci caratterizzava nel mondo. In questi mesi i nostri locali sono stati additati come luoghi di contagio. Ora finalmente, dati alla mano, possiamo confermare quanto abbiamo sempre sostenuto e mettere la parola fine a quella credenza diventata quasi un luogo comune. Infatti, da quando bar e ristoranti hanno potuto riprendere la somministrazione sul posto, seppure solo all’esterno, l’indice dei contagi si è addirittura abbassato. Perché i nostri locali offrono più sicurezza alla socialità, molta di più di quella che è garantita nelle case private o negli assembramenti spontanei all’aperto”.
“Apprezziamo il segnale che il Governo Draghi ha voluto dare al Paese e al sistema economico, perché finalmente abbiamo delle date per programmare la riapertura totale, ma ci aspettavamo un po' più di coraggio. La ripartenza della somministrazione all’interno solo dal 1° giugno è insufficiente: mancano solo pochi giorni a questa data, è vero, ma per noi ogni giorno in più a guadagni ridotti è insostenibile”, evidenzia Cursano. Il secondo lockdown è stato addirittura peggiore del primo da un punto di visita psicologico ed economico: “i ristoranti non hanno lavorato la sera per sei mesi. Prima della riapertura del 26 aprile scorso, in Toscana abbiamo servito l’ultima cena il 25 ottobre 2020, l’ultimo pranzo il 13 febbraio 2021. E fino al 1° giugno lavorerà solo chi ha spazi esterni. Arriveranno pure i soldi del Recovery Fund, ma speriamo che trovino le imprese ancora vive. Di questo passo, rischiano di trovare solo macerie”, dice con amarezza Cursano.
A proposito di ristori, il rapporto di Fipe ha messo in evidenza l’insufficienza di quelli stanziati finora: il 23% delle imprese, ad esempio, non li ha ricevuti per una serie di difficoltà burocratiche, tra codici Ateco e mancate aperture di partite Iva. Fra gli imprenditori che li hanno ricevuti, nove su dieci li considerano inutili o poco efficaci.