La sindaca Nappi alla 41° Assemblea Nazionale dell'ANCI al Lingotto di Torino
Un ultimo dell' anno di tanti, troppi, anni fa...
L'aria è frizzante. Sa d’inverno. Del mio, del nostro inverno. Quando Grosseto, nella notte, non dorme perché non vuol dormire. I lampioni la corteggiano e lui, sornione, sta con un occhio aperto e uno chiuso. Il corso, per una volta, non si lamenta. C’è tanta gente in giro, stanotte. Non si sente solo. Fa freddo in piazzetta. Ettore Socci attende un cenone di mezzanotte che, come ogni anno, non arriverà. Non riesce a trattenere le lacrime per un ristorante Maremma dei Peccianti che ha chiuso da tempo. Poi si riprende. Un ex bersagliere sa ricomporsi alla svelta nel suo dignitoso silenzio. Su in alto, nelle case, dalle finestre, filtra un sottile filo di luce. Chissà se illumina gioie o sofferenze. Andiamo oltre. Ogni tanto un botto rompe l’atmosfera segnalando il transito di un’illusoria felicità. La chiesa di San Pietro scruta invano dinanzi a sé. Non si rassegna, ancora. Cerca invano le familiari vetrine di un bar Martinelli che da lustri ha chiuso le sue saracinesche. Gli ultimi piccioni sonnecchiano rassegnati sotto la Porta, quella vecchia, in cattura del tenue calore emanato dalle lampade. Un vai e vieni di comitive allegre e scherzose, da e verso case e ristoranti.
Alla ricerca del loro ultimo dell’anno. Quello che sarà, anzi dovrà essere, più bello del precedente e che invece, inesorabilmente, nel confronto ci perderà. Grosseto intanto si gira e si rigira nelle sue stradine del centro che si ostinano a chiamare storico ma che di storico ha ormai poco o nulla.Si sforza di prendere sonno. Sa che non le riuscirà. Allo scoccare della mezzanotte non ci sarà Cenerentola in fuga che perde una scarpetta ma solo una successione di scoppi che vorrebbero invocare una illusoria felicità ma che ai più anziani richiamano solo tristi ricordi bellici. Tra non molto i portici torneranno quello che sono sempre stati. Una semplice successione di archi aperti sulla piazza Dante, tornata deserta. Il Duca dai biondi capelli, intento a sorreggere la sempre meno paziente Maremma, mostra segni di rassegnazione e cedimento. Intanto strane ombre in giro appaiono e si dileguano. Si muovono come fantasmi. In una sorta di danza misteriosa. Qualcuno giurerebbe di aver intravisto Giogio, Alvaro, Pascia, Florindo, Moglie, il Carbonetti, Nella, Gigi. I reietti, insomma. E giù in fondo, una figura con un che di familiare che avanza lentamente, in pigiama. Indosso ha un vecchio maglione pieno di macchie di vino, ai piedi un paio di ciabatte, sigaretta accesa all ’angolo della bocca, contratta in una smorfia che non saprai mai se di dolore o felicità.
E’ Vincenzo, che come ogni ultimo dell'anno dalla sua dipartita avvenuta ben venti anni fa, torna a visitare la sua via Ricasoli. Il suo goffo ciabattare rimbomba attraverso i portici divenuti nel frattempo deserti, mentre da sotto le spesse lenti degli occhiali si sforza di scrutare oltre il buio delle saracinesche e delle vetrine, nella speranza di ritrovare volti noti e familiari.
L' ebreino, i fratelli Franci del Caffè Italiano, l'abbigliamento dei fratelli Rossi, il Santini, il Ricciardi. E giù in fondo, dopo la cappelleria del Mazzolai, la gastronomia delle sorelle Nevoni e la macelleria del Marraccini. Con la selvaggina affissa sulla porta d'ingresso.La testa di cinghiale attaccata a un gancio pare sorridere. Di un sorriso mesto e rassegnato.
Poche occhiate distratte e deluse, dopodichè la sua figura svolta barcollando l'angolo che conduce in via Ricasoli. Una breve sosta, giusto il tempo di indirizzare un tenero e frettoloso sguardo in alto, alla terrazza che adorna l'appartamento che un tempo era di nonno Buba Galigani e che per tanti, forse troppi, anni ha ospitato la sua sofferta solitudine. Per poi discendere con passo strascicante in Piazza del Sale, attraversare di fretta la Porta Vecchia e scomparire nel cielo della meravigliosa notte di una Grosseto che non finirà mai di stupirsi e stupire.