La sindaca Nappi alla 41° Assemblea Nazionale dell'ANCI al Lingotto di Torino
Maiano Lavacchio: Se avete nipotini raccontate loro questa storia.
Io non potrò esserci perché emozionarmi e commuovermi nuoce alla mia fragilità acquisita dopo una grave forma di COVID contratto nella prima ondata del 2020 .
Come Marco e Paola e chi altro mi conosce sa, io affido la mia voce alla parola scritta. Cosi', in occasione di questa triste ricorrenza, ho messo per scritto una mia emozione su quell' evento. Sarei felice se qualcuno di voi trovasse un piccolo spazio nella cerimonia per leggerlo agli intervenuti. Non mi interessa che venga fatto il mio nome. Se non potete o non riuscite, fa nulla.
Sono nato nel dopoguerra ma in fondo cinque anni soltanto dopo il loro assassinio. Perche' il loro fu un assassinio premeditato. La Maremma pullulava di bande di partigiani, fuoriusciti, sbandati. Loro non rientravano in questa classificazione. Avevano preso una decisione spontanea e soprattutto ingenua per non dire scellerata, dati i tempi e le situazioni. Quella di rinchiudersi in un casolare nella folta macchia mediterranea e aspettare. Creare insomma una sorta di cuscinetto tra loro e il mondo accecato dall'odio che si muoveva intorno. Attendere.
Sarebbe finita quella guerra prima o poi consentendo loro di recuperare la dignità di uomini liberi.
Tutto ciò non sarebbe potuto accadere senza l'assistenza costante e premurosa delle famiglie che facevano la spola, a costo di gravi rischi, tra il mondo dove regnavano fame, rassegnazione e caos e quella piccola oasi di silenzio e speranza racchiusa tra le macchie di Monte Bottigli.
Il destino o meglio gli uomini avevano deciso diversamente.
Quale contributo avrebbero potuto dare una decina di giovani impauriti alle sorti di un conflitto che appariva a tutti, tranne che a fascisti irriducibili e abbrutiti da una guerra sanguinosa e ormai persa? In quei momenti bui accadeva quel che accade quando si ha ormai la certezza che la sconfitta e' all'orizzonte, che i miti stanno rovinosamente crollando, che si profilano i tempi tenebrosi della resa dei conti.
E allora ci si augura che qualcuno debba pagare al posto nostro, o nella peggior ipotesi insieme a noi, il prezzo di un destino che non si è rivelato affatto per quello promesso, agognato, osannato. E tutto ciò lo si ipotizza per puro spregio della vita altrui.
Con lo stesso atteggiamento con cui ci si accinge a tirare il collo a un pollo o a togliere la vita a un maiale.
A dispetto di qualunque minimo residuo sentimento di razionalità e di umanità che la guerra possa aver lasciato dentro gli animi.
A pagarlo, quel prezzo dovrà essere un piccolo gregge di agnelli che impauriti se ne stanno pacificamente raccolti dentro quel casolare nel profondo del bosco.
"Abbiamo un debito verso i camerati tedeschi. Ogni giorno qualcuno di loro paga con la vita per le vili aggressioni di questi traditori del Duce e della Patria. Dobbiamo mostrar loro che meritiamo ancora fiducia. Che gli italiani non sono codardi e non abbandonano l'alleato nei momenti difficili ".
E quale occasione migliore per dimostrarlo se non arrestare, processare condannare e passare per le armi quelli che per loro altro non sono se non un gruppo di fuoriusciti, sbandati e disertori in ozio a Monte Bottigli in assoluta tranquillita', accuditi dai loro familiari mentre noi fascisti, insieme ai camerati tedeschi, rischiamo ogni giorno la vita pur di mantenere fede al nostro giuramento al Duce ?
Non ci sarebbero riusciti, così narra la cronaca e la credenza popolare, se uno degli agnelli non fosse stato un agnello ma un lupo travestito e, dopo essersi furtivamente allontanato dal gruppo, non avesse comunicato ai fascisti grossetani l'esatta ubicazione del casolare.
Questa delazione consentì la predisposizione di un assalto a sorpresa che rese impossibile qualsiasi tentativo di fuga, ammesso che ne esistesse la possibilità.
Furono catturati, picchiati e trasportati alla scuola di Maiano Lavacchio.
Giudicati con un processo farsa. Condannati a morte per fucilazione. Qualunque tentativo di sottrarli a una morte ingiusta e atroce falli'. Compreso quello della mamma dei due fratelli Matteini, il cui pianto e le cui perorazioni di pieta' presso le autorità fasciste rimasero non solo inascoltate ma vigliaccamente derise.
Se avete nipotini raccontate loro questa storia.
Che oggi e' storia, oltretutto poco conosciuta, ma nel 1944 era cronaca quotidiana che nessuno leggeva perché i giornali non uscivano e comunque nessuno aveva tempo né voglia per leggerli.
Tanto erano drammatici quei momenti, unici e irripetibili nelle vicende convulse di fine guerra di un Paese chiamato Italia. Oggi, forse piu' di ieri, un pellegrinaggio a Maiano Lavacchio renderebbe giustizia a quei giovani martirizzati.
Il vento che soffia su quelle colline racconterebbe che due tra loro, i fratelli Matteini, nella tragica atmosfera di una notte che per quei giovani ristretti piangenti e impauriti dentro le mura di un' aula scolastica sarebbe stata l' ultima, ebbero il pensiero che a tutti, proprio tutti gli uomini viene alla mente quando avvertono che la loro vita sta per concludersi. Probabilmente non gli daremmo subito credito al vento, poi pero' lo ascolteremmo con la bocca aperta e gli occhi spalancati.
I soldati, se le circostanze lo consentono, usano matita e un pezzo di carta.
Loro, quei giovani smarriti, disponevano solo di ciò che a quell'epoca poteva offrire una scuola. Una lavagna e un pezzo di gesso. Quanta basta per scrivere un ultimo saluto alla mamma.
Perche' la mamma è per tutti e in ogni epoca il punto di partenza e il punto di arrivo.
E non poteva essere altrimenti per i martiri d'Istia.
Quelli che quando chiusero gli occhi sotto i colpi dei fucili non sapevano che sarebbero diventati martiri.
Erano solo ragazzi terrorizzati e increduli che nell' arena all'aperto di quel teatro impazzito, fra le spinte, le urla e l'odio vomitato loro in faccia da altri uomini, mentre percorrevano i pochi metri che li separavano dal plotone di esecuzione, non si capacitavano che fosse toccata proprio a loro la parte ingrata dei protagonisti di una tragedia.