E78, cade ultimo diaframma galleria Poggio Tondo (Gr). Giani: “Momento storico”
Regione, 'Giorno del Ricordo': gli interventi di Fausto Biloslavo e Franco Cardini
Il giornalista: “Revocare l’onorificenza consegnata a Tito”. Lo storico: “Conoscenza storica e primato della politica per evitare le Auschwitz e le foibe del futuro”. di Sandro Bartoli Firenze: L’intervento di Fausto Biloslavo, giornalista che da decenni è impegnato a raccontare scenari di guerra e conflitti etnici nel mondo – “In 37 anni sui fronti più caldi ha scritto quasi settemila articoli accompagnati da foto e video”; ricorda il presidente Antonio Mazzeo nel presentarlo all’Aula -, comincia dalla foto “in bianco e nero, ingiallita dal tempo” del nonno Ezechiele, “che non ho mai visto, né conosciuto.
E mia madre, che bambina lo vide portare via, non l’ha visto tornare e non ha mai saputo dove fu ucciso e infoibato. Non aveva mai fatto male a una mosca e per questo era rimasto a Trieste a guerra finita. Sono nipote di un infoibato e figlio di esuli”. La tragedia delle foibe, dice Biloslavo, “è incardinata in una piccola tragedia europea, quando il maresciallo Tito si macchiò dello sterminio di massa dei prigionieri sloveni e croati che gli erano stati consegnati da Churchill: parliamo di 250mila persone”. La figura di Tito “non è solo questo, lo sappiamo bene. Ha avuto il pregio di saper tenere insieme la Jugoslavia, ma un crimine di guerra rimane un crimine di guerra”.
E anche quello compiuto nei confronti dei nostri connazionali non costò soltanto migliaia di vite, ma anche “un gigantesco esodo di trecentomila persone”. E non furono tutti fascisti, collaborazionisti, insomma nemici, dice ancora Biloslavo: “Furono anche rappresentanti del Cnl o uomini come Angelo Adam, un meccanico di Fiume, antifascista, ebreo sopravvissuto al campo di concentramento di Dachau, fatto scomparire dai titini a guerra finita”. Non si tratta di togliere niente alla storia, prosegue Biloslavo, “piuttosto di aggiungere qualcosa: quelle verità che sono state infoibate per tanto tempo. C’è ancora chi nega, e per fortuna ormai sono pochi, riduce o giustifica, e questi sono ancora tanti”. E l’Italia stessa, prosegue il giornalista, “ha dimenticato i crimini di Tito. Nel 1969, il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, portò a Tito la più alta onorificenza dello Stato italiano. Ancora campeggia sul sito del Quirinale. Penso che quella onorificenza, che sinceramente mi sembra una vergogna, si potrebbe anche togliere: l’abbiamo fatto con il presidente Assad per la guerra civile in Siria, e Assad, pur avendo le mani sporche di sangue, non ha infoibato nessun istriano”. Quegli esuli e i loro discendenti “non hanno avuto giustizia. Bisogna guardare avanti, ma bisogna stare attenti affinché la storia non si ripeta”. Il messaggio che rimane, dice in conclusione Biloslavo, è “mai più pulizia etnica, mai più crimini di guerra impuniti, mai più verità infoibate”.
“Riguardo alle polemiche per l’invito che ho ricevuto, un invito che mi onora, voglio dire che da 38 anni ho solo una tessera in tasca ed è quella da giornalista. E anche a coloro i quali vogliono lasciare la sala consiliare (la capogruppo del Movimento 5 stelle Irene Galletti ha lasciato la seduta solenne al momento dell’intervento di Biloslavo, in polemica con la decisione di invitarlo ed è poi rientrata per ascoltare l’intervento di Franco Cardini, ndr) voglio garantire che non sono né un eversivo, né un revisionista, né un antidemocratico”.
“La storia non è un tribunale, il suo compito non è giustificare nel senso di assolvere oppure condannare: è chiarire dall’interno come sono avvenute certe cose”, avverte lo storico Franco Cardini, presente in Aula. “Non c’è giudizio che non sia suscettibile di modificazioni, la ricerca storica è necessaria”. Bisogna sempre risalire alle radici dei fatti, conoscere, spiega Cardini. “Il mio maestro, istriano, quando mi parlava da storico delle foibe mi raccontava sempre la storia del cane nero. Quando l’ultimo disgraziato era caduto nell’abisso carsico, si sgozzava un cane nero e lo si buttava nella foiba. Non era un gesto di disprezzo, ma un gesto sacrificale antico, precristiano: era il Cerbero da spedire insieme ai morti uccisi contro giustizia per paura che l’anima del morto tornasse a vendicarsi”.
Bisogna sempre risalire alle ragioni e alle radici più profonde, per cercare di capire la genesi delle cose, ripete Cardini. “È evidente che noi qua stiamo commemorando un fatto orribile e imperdonabile. E si deve anche dire che gli alti comandi inglesi che avevano restituito i collaborazionisti croati e sloveni a Tito, sapevano benissimo che fine avrebbero fatto e sapevano che ne erano responsabili davanti alla comunità internazionale, perché quelli erano loro prigionieri”.
La riflessione da fare, anche di fronte alla tragedia delle foibe “è che bisogna chiedersi a cosa serve la storia. Innumerevoli crimini e innumerevoli delitti avvengono ancora sotto i nostri occhi. Non possiamo intervenire sul passato e non siamo in grado nemmeno di intervenire su quanto stanno subendo i profughi dall’Asia da parte delle polizie croate o bosniache”. Si può fare qualcosa “per quelli che moriranno nelle Auschwitz o nelle foibe del presente o del futuro. Possiamo stabilire i trend, la direzione che prendono certi eventi. Possiamo far qualcosa aumentando la conoscenza. Bisogna conoscere meglio il passato per poter padroneggiare il futuro. Credo nella possibilità che le nostre capacità di conoscere e di capire diventino ogni giorno più forti e più profonde e con esse cresca un’autocoscienza per approntare i rimedi”. E perché questo processo abbia effetto, “per migliorare la situazione ed evitare il peggio, occorre il primato della politica: la scienza che insegna a tutelare e migliorare il bene comune”.