L'ISGREC spiega il proprio dissenso all'intitolazione di una via ad Almirante

Grosseto: «Con l’attuale presa di posizione della Giunta comunale di Grosseto in favore dell’intitolazione di una via a Giorgio Almirante - spiega l'ISGREC di Grosseto in una nota -, riteniamo necessario esprimere il profondo dissenso dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’età contemporanea per una proposta che oltrepassa i limiti del decoro. Come l’Isgrec già fece quando questa modifica alla toponomastica venne ipotizzata anni orsono, diamo oggi diffusione a un documento del 2005, a firma dell’allora Direttrice Luciana Rocchi, che dovrebbe suggerire a chiunque abbia rispetto per la Costituzione e la prassi democratica di abbandonare ogni incertezza sull’opportunità di una simile scellerata scelta.

Perché no ad un inserimento di Giorgio Almirante nella toponomastica grossetana

La vicenda politica di Giorgio Almirante si sviluppa attraverso tre fasi: gli anni del regime fascista, la breve stagione della Repubblica Sociale Italiana, il lungo periodo dell’Italia repubblicana.

Fuori da ogni intento di ricostruzione biografica completa, è opportuno segnalare alcune tappe significative, documentabili attraverso fonti d’archivio o scritti comparsi sulla stampa:

  • L’impegno nella campagna razziale negli anni del regime
  • Le responsabilità sempre in materia di discriminazione e persecuzione razziale e le manifestazioni di intransigenza e durezza nello svolgimento di un ruolo dirigente nella RSI
  • La sostanziale continuità tra l’impegno politico fascista e quello successivo alla nascita dell’Italia repubblicana e democratica

1. L’impegno nella campagna razziale negli anni del regime

Giorgio Almirante fu dal 20 settembre 1938 segretario di redazione della rivista “Difesa della razza”, quindicinale che vive tra 1938 e 1943 ed è l’espressione più diretta del razzismo del regime (i redattori sono tutti firmatari del “Manifesto della razza”, che apre la strada alla legislazione razziale del regime fascista ). Fu anche caporedattore del “Tevere”, periodico distintosi per una campagna antiebraica “estremista, sfrenata, azzardosa”(A. Lyttelton) già prima delle leggi razziali.

L’articolo sul n. 6 – 20 ottobre 1938 de “La difesa della razza”, firmato da Giorgio Almirante, esprime piena soddisfazione per l’espulsione dei professori ebrei dall’Università italiana e per l’eliminazione degli ebrei da tutte le scuole del regno. Sostiene che “l’operazione chirurgica è stata pronta e spietata; e qualche animuccia debole se ne è spaurita”, ma la definisce “salutare, benedetta liberazione”, e conclude : “Siamo dunque all’alba di una nuova scuola italiana”.

Nel numero 13 del 5 maggio, anno 1942 sempre su “La difesa della razza”, Giorgio Almirante, con un articolo dal titolo “…Ché la diritta via era smarrita… Contro le “pecorelle dello pseudo-razzismo antibiologico” chiarisce senza ombre la sua adesione piena alle forme più rigide del “razzismo biologico”: Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli…Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come han potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, anche più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche laboriose e dispendiose – fingere un mutamento di spirito, e dirsi più Italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è che un attestato col quale si possa porre un alto là al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue.

La didascalia di un’immagine recita: Queste due giudee polacche, sono state colte dall’obbiettivo di un soldato tedesco nell’atto di schernire e profanare il simbolo di Cristo. I “cattolici e fascisti” potrebbero utilmente meditare su quest’immagine: Roma non ha altro nemico al mondo che il giudaismo.

2. Le responsabilità in materia di discriminazione e persecuzione razziale e le manifestazioni di intransigenza e durezza nello svolgimento di un ruolo dirigente nella RSI

Proseguiamo intanto sulle posizioni rispetto alla questione della razza, che sono dentro la terribile storia della “persecuzione delle vite” e della deportazione politica e razziale.

Segnaliamo un documento dell’estate del 1944, dal titolo “Schema di disposizioni alla stampa e alla radio per la propaganda in materia razziale”, conservato negli Archivi Centrali dello Stato (ACS, RSI, SPD, CR 1943-45, b. 48, fasc. 540), che il Ministro della Cultura Popolare della RSI, Mezzasoma, dichiara compilato da Almirante, suo capo di gabinetto, nel quadro di “una vasta campagna di propaganda razziale” (Raspanti, 1994). Ricordiamo che gli anni della RSI sono quelli della deportazione degli ebrei dall’Italia nei campi di sterminio della Germania nazista, che produce oltre 6000 vittime (da Grosseto ne sono deportati 34, quasi tutti uccisi). Con questo schema di disposizioni Almirante dà il suo contributo all’attuazione delle persecuzioni. Vi si legge, tra l’altro: …i sangui misti siano sempre stati una calamità per le loro nazioni, mentre al contrario gli individui e i popoli che hanno saputo mantenersi puri sono sempre stati all’avanguardia…Occorre sempre far rilevare che i prodotti degli incroci tra ebrei o con razze straniere ereditano le caratteristiche fisiche e morali peggiori; e come tali costituiscono un gravissimo pericolo per l’integrità della razza. Anche in questo caso la saggezza del popolo ha intuito da gran tempo il pericolo. Basta pensare al significato dispregiativo dato sempre al vocabolo “bastardo” e ai suoi derivati. Individuato nei precedenti termini il male, la propaganda dovrà sottolineare l’urgenza e la necessità di circoncluderlo e di sanarlo, eliminando dalla vita nazionale gli ebrei, i meticci ed in genere i cittadini di sangue straniero. A questo punto converrà far fronte ancora una volta al pietismo…

Sempre durante la Repubblica Sociale Italiana, quando, a partire dall’autunno 1944, si apre una discussione interna al fascismo repubblicano tra chi cerca soluzioni non troppo traumatiche alla lotta fascismo e antifascismo, nell’intento di “salvare il fascismo, nel nome della sua volontà socializzatrice”, la posizione di Almirante spicca per la sua durezza. In un articolo su “Dottrina fascista” del 23 marzo 1945 dichiara: “ Finché la guerra dura, quello dei due contendenti che invoca concordia, manifesta il suo desiderio di uscire comunque dalla guerra e si arrende praticamente al nemico”, sostenendo che non si deve nemmeno “concedere il diritto di parola” a chi cerca di assumere posizioni più concilianti (Ganapini, 1999).

La questione relativa alla figura e al ruolo di Almirante nella storia d'Italia si precisa ulteriormente con le fonti che rivelano la durezza con cui aderì alle violenze che si scatenarono nell'Italia occupata dall'esercito tedesco. Tra l'autunno 1943 e la primavera del 1945, i bandi per l'arruolamento forzato di giovani nell'esercito della RSI furono seguiti da quelli per la persecuzione, l'arresto e fino alla condanna a morte dei renitenti. Ne abbiamo prova a Grosseto: i Martiri d'Istia ne furono vittime, il 22 marzo 1944.

La storia più nota rispetto a vicende di questo tipo riguarda per l'appunto Almirante e un bando che porta la sua firma, del maggio 1944. Dal contenuto del bando è evidente la chiara accettazione delle più feroci violenze, sia italiane che tedesche. Questa vicenda fu oggetto di un procedimento giudiziario, che si concluse con la riaffermazione del ruolo svolto nella fase dell'Italia fascista repubblicana da Giorgio Almirante.

Nel 1971 storici dell`Università di Pisa rinvennero negli archivi del Comune di Massa Marittima la copia anastatica di un manifesto diffuso in provincia di Grosseto nel maggio 1944 con il quale il governo della RSI annunciava la fucilazione per i renitenti alla leva e i disertori. Il manifesto era firmato da Giorgio Almirante, all’epoca funzionario del Ministero della Cultura Popolare e fu pubblicato il 27 giugno 1971 dal quotidiano l`Unità col titolo: “Un servo dei Nazisti. Come Almirante collaborava con gli occupanti tedeschi”.

Almirante, sentitosi diffamato, querelò l’allora direttore dell’Unità Carlo Ricchini e la giornalista Luciana Castellina, sostenendo che quel manifesto era un falso costruito ad arte per delegittimarlo.

Dopo l’assoluzione in primo e secondo grado, il procedimento penale si concluse nel 1978 in Cassazione con il definitivo proscioglimento dei due giornalisti e la condanna di Almirante al pagamento delle spese processuali e al risarcimento danni. Fu dimostrata l’autenticità del manifesto: gli accusati, infatti, portarono in aula il documento originale recante la firma di Almirante, la lettera della Prefettura che accompagnava l`invio del manifesto e un telegramma dell`8 maggio 1944 firmato proprio da Almirante con il quale si sollecitava l`affissione del manifesto in tutti i comuni della provincia di Grosseto.

Nel processo ebbero un ruolo anche i familiari delle 83 vittime della strage della Niccioleta, eseguita in giugno dello stesso anno da SS italiane e tedesche, al comando di un ufficiale tedesco (conseguenza dei feroci bandi dei comandi dell'esercito tedesco, promossi dalle strategie criminali del governo della Germania di Hitler). Non esiste un nesso causale diretto fra il bando e la strage, ma quel testo legittima ogni atto della “guerra ai civili”, che fece il maggior numero di vittime civili, tra cui i minatori della Niccioleta, proprio tra primavera ed estate 1944, durante la ritirata tedesca.

3. La sostanziale continuità tra l’impegno politico fascista e quello successivo alla nascita dell’Italia repubblicana e democratica

Nell’immediato dopoguerra, Giorgio Almirante è, insieme a Pino Romualdi e ad altri, uno dei fondatori dei FAR (Fasci di azione rivoluzionaria), che garantiscono una linea di collegamento tra gli irriducibili del fascismo repubblicano e le cui strutture operative si dedicano ad attentati terroristici almeno fino al 1951. Almirante continua a farne parte anche in parallelo alle responsabilità di dirigente del Movimento Sociale Italiano( Lanaro,1992).

Lasciando da parte la storia del MSI negli anni della Repubblica, un partito che comunque opera nella legalità ed ha una vicenda politica che lo vede soggetto di una lunga e tormentata trasformazione, fino alla nascita di Alleanza Nazionale, merita qui solo una segnalazione il coinvolgimento di appartenenti al MSI nelle trame neofasciste, in un quadro di connivenze nazionali e internazionali (Santarelli 1996).

Sulla base di questi dati - conclude ISGREC -, appare assolutamente inesistente nel caso di Giorgio Almirante quella condizione di memoria di un personaggio da proporre come esempio per le nuove generazioni, se il razzismo è ancora da considerarsi una piaga orrenda e terribilmente attuale. Né è accettabile proporre quella di Almirante come memoria in cui possa identificarsi la coscienza civile dei grossetani. La sua ostinata fedeltà alle idee ed alla pratica politica di modello fascista, nella sua versione più intransigente, lunga una non piccola parte della sua vita politica – attraverso gli ultimi anni del regime fascista e il periodo della RSI, con oscure propaggini nell’Italia repubblicana – non può essere cancellata in alcun modo e si presta a far esplodere conflitti della memoria, non certo a spingere gli italiani a fare serenamente i conti con la propria storia».