Il mercato dei contadini. Oggi è sparito.

di Massimo Ciani Quando si parla di mercato del giovedì ti ritrovi con la mente o con il corpo o con tutti e due fuori Porta Vecchia. Al mercato delle merci, degli ambulanti. Il vero mercato di Grosseto non era quello. Non è mai stato quello.

Il mercato che ho conosciuto io con i grossetani del dopoguerra animava, puntualmente ogni giovedì mattina, l’area compresa tra la piazzetta Socci, la via Cairoli e la chiesa di San Pietro.

Lì sostavano e gesticolavano quelli che i giovani emergenti di una società grossetana in (si fa per dire) ascesa sociale, apostrofavano ironicamente come i gosti. Ebbene. Quei gosti dalle scarpe grosse e dal cervello fino che avevano dissodato al prezzo di mani callose le terre date loro in assegnazione con diritto di riscatto dall’Ente Maremma, ogni giovedì mattina, governate di buon ora le bestie vaccine nella stalla, indossato il vestito buono di frustagno, si concedevano il lusso di salire sugli autobus della RAMA e scendere al mercato.

Lì, proprio davanti al tanto denigrato edificio della Camera di Commercio, tra un bicchiere di vino e due fette di pane con le acciughe sottopesto consumate di fretta nella bottega di Poldo, in mezzo all’odore acre ed appiccicoso di cipolle e di grasso rancido, si compravano e vendevano vacche, vitelli, maiali, agnelli, partite di grano e di foraggio, di erba medica, di paglia. La ricchezza, insomma, la vera ricchezza di una maremma agricola in crescita.

Il sensale sollevava più volte con vigoria le mani delle parti secondo l’antico rituale, poi con un colpo secco le separava, in tal modo consacrando la conclusione dell’affare. Dopo che le banconote formato lenzuolo delle diecimila e delle cinquemila lire erano passate di mano da gosto a gosto senza che i lavoratori del nascente terziario cittadino se ne fossero minimamente accorti, gli autobus ripartivano dal piazzale dell’autostazione della RAMA carichi di gosti che puntualmente scaricavano davanti ai loro poderi tutti rigorosamente uguali, dai muri bianchi come neve e contrassegnati da numeri e dai nomi dei santi.

Le vacche segnalavano con muggiti festosi il loro ritorno e con esso la ripresa del ritmo della normalità quotidiana, contrassegnata da levatacce a buio pesto e da coricamenti all’ora dei polli, che si sarebbe protratta sino al giovedì successivo.