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Giorno del Ricordo: gli interventi di Marco Casucci e Gianni Oliva
Il vicepresidente del Consiglio: “Nostro dovere tramandare la memoria di un’immensa tragedia italiana, perché chi non ha ricordi non ha futuro”. Nella sua lectio lo storico ha ripercorso le tappe dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano e le motivazioni per cui sulla vicenda è calata per tanti anni una cortina di silenzio
Firenze:- Il vicepresidente del Consiglio regionale della Toscana Marco Casucci ha sottolineato che “è nostro compito fare comprendere, tutti insieme, il significato di questa giornata, che ha un alto valore simbolico e identitario. Ricordare significa rivivere un’immane tragedia italiana, svelare un capitolo della storia nazionale e internazionale rimasto per troppo tempo oscuro, che causò lutti e versamento di sangue innocente”. “Dopo l’istituzione della Giornata del ricordo nel 2004 – ha proseguito Casucci – non c’è più un’Italia di vittime dimenticate e noi dobbiamo dare il nostro contributo per non dimenticare quanto accaduto in quelle terre dal settembre del 1943 al febbraio del 1947. Terre che sono passate direttamente dall’oppressione nazifascista a quella comunista “. Sul fatto che migliaia di persone siano state gettate nelle foibe perché avevano l’unica colpa di essere italiani o di rappresentare le istituzioni “è caduta un’ingiustificabile cortina di silenzio – ha aggiunto il vicepresidente – così come sullo stillicidio dell’esodo degli anni successivi”. “E’ nostro dovere tramandare il ricordo di quanto è successo come monito alle nuove generazioni affinché non si ripeta – ha concluso -. Chi non ha ricordi non ha futuro e in questo l’impegno delle istituzioni deve essere totale, è la base per costruire un mondo di pace e di solidarietà”.
La cronologia e le cause dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata sono stati poi ripercorsi nell’intervento dello storico Gianni Oliva, il cui lavoro si è concentrato molto sulla zona adriatica. Il suo saggio “Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria”, pubblicato da Mondadori nel 2002, è stata una delle prime e più esaustive opere di divulgazione scientifica sull’argomento.
“La zona nord-orientale dell’Italia è un’area vasta, di frontiera, in cui convivono gruppi etnici, linguistici e culturali differenti” ha premesso Oliva. Italiani, sloveni e croati hanno convissuto pacificamente per secoli fino alla prima guerra mondiale, quando l’affermarsi in Italia di un nazionalismo molto forte ha creato in quest’area profonde divisioni. “Nella seconda guerra mondiale, dal 1940 al 1943 gli italiani alleati con Hitler hanno occupato la Jugoslavia e fatto tutto quello che fanno gli occupanti quando controllano territori che reagiscono con la guerriglia, cose brutte – ha ricordato -. Da parte slava la resistenza dei partigiani fu subito egemonizzata dal partito comunista jugoslavo e da Tito”. Tito, per cementare le diverse componenti della popolazione della Jugoslavia, capì che doveva creare un nemico: gli italiani. Per questo si fece leva sul nazionalismo slavo con l’obiettivo di annettere al paese tutte le terre mistilingue, e per questo gli jugoslavi occuparono l’Istria puntando a Trieste. Iniziarono gli infoibamenti “con l’obiettivo di eliminare tutta la classe dirigente italiana”. Nel giro di 45 giorni, ha spiegato ancora lo storico, si calcola che vennero uccise 6-7 mila persone. “Una strage di dimensioni enormi, di carattere etnico politico”.
Successivamente all’accordo della linea Morgan, per molti italiani rimasti nella parte jugoslava, impauriti e senza più intravedere un futuro inizia la difficile fase dell’esodo. Quasi trecentomila persone distribuite in oltre cento campi in tutta Italia, in cui vissero per anni in condizioni difficilissime. “I profughi non erano ben visti, perché gli immigrati danno sempre fastidio – ha spiegato ancora Oliva – e perché arrivarono in un’Italia a pezzi, bombardata e povera”.
Ma perché per decenni di queste vicende si è parlato poco o niente? La spiegazione dello storico richiama varie motivazioni. “Intanto Tito, rompendo con il fronte comunista, divenne un interlocutore e le regole della democrazia dicono che non si mette in imbarazzo un interlocutore con domande scomode”. Ancora, “il partito comunista non aveva interesse a parlare di foibe per le sue contraddizioni” e soprattutto “venne adottato un grande silenzio di Stato, perché l’Italia è uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale ma non lo voleva ammettere”. Per lo studioso “ci siamo costruiti un’immagine per cui la guerra è iniziata con l’8 settembre, quando ci siamo schierati dalla parte giusta, senza fare i conti con il passato”.
“La verità – ha concluso Gianni Oliva – è che le vittime delle foibe non erano né di destra né di sinistra, erano italiani che si sono trovati a vivere nel posto sbagliato. La guerra è impietosa, ed è nostro compito tributare rispetto a queste vittime ed evitare strumentalizzazioni”.