A Montemerano Simone Maretti narra "I promessi sposi"
Montemerano: Ci tiene subito a dirlo, Simone Maretti: “Non chiamatemi attore, sono un narratore”. Ed è così che si presenta negli ormai innumerevoli luoghi dove è stato: associazioni culturali, teatri, piazze, biblioteche, musei, ma soprattutto scuole di ogni ordine e grado, per raccontare a suo modo fiabe, romanzi, classici e moderni, poemi e testi teatrali. Modenese, 48 anni, papà camionista e mamma maestra, ha iniziato quella che è diventata ormai la sua professione mentre preparava la tesi di laurea in filosofia all’Università di Bologna. Nel suo lungo carnet ci sono Ariosto e Calvino, l’Odissea e Boccaccio, Pasolini e Stefano Benni, Italo Svevo e Gianni Rodari. Ma anche Jane Austen di Orgoglio e pregiudizio e il Frankenstein di Mary Shelley. L’amico ritrovato di Fred Ulhman o La metamorfosi di Kafka. Nomi “classici”, importanti, ma che magari non abbiamo mai affrontato. Domenica 13 agosto, alle 21, sarà nel giardino della Biblioteca comunale di storia dell’arte di Montemerano, con I promessi sposi di Alessandro Manzoni, di cui cade il bicentenario.
D. Maretti, che differenza c’è tra un attore e un narratore?
«L’attore interpreta un personaggio, è dentro la dinamica della scena teatrale, attira inevitabilmente l’attenzione del pubblico su di sé, diventa lui stesso un personaggio. Il narratore invece sta un passo indietro, è solo il tramite tra l’autore e il pubblico, quello che vuole ottenere è l’attenzione esclusiva verso il testo, chi ascolta deve esserne attratto, richiamato. Ha sicuramente una funzione più didattica, e non a caso lavoro tantissimo con i ragazzi delle scuole».
D. Una scena essenziale: lei e in mano il libro. Come si prepara?
«Con la formula “adesso ti racconto una storia”… Come faceva Gigi Proietti nel suo felice esperimento a Roma del Global Theatre di Shakespeare. In fondo è la tradizione del teatro popolare, della commedia dell’arte italiana. È il modo migliore per stabilire un rapporto diretto con chi ascolta. Ovviamente lavoro sul testo, seleziono i passi da leggere, cerco di definire i personaggi, e la trama che man mano riassumo lungo il percorso narrativo. Alla fine, c’è sempre qualcuno che dice: adesso lo leggo, o magari lo rileggo».
D. Per questo incontro abbiamo scelto I promessi sposi - ma è il bicentenario di Manzoni, perché non osare - uno dei testi più odiati a scuola dai ragazzi… Lei lo avrà raccontato centinaia di volte. Come viene accolto?
«La cosa che più spesso faccio notare ai ragazzi è che nel romanzo “mattone”, che porta il peso della sua prosa descrittiva, ci sono tutti i caratteri umani, che ritroviamo anche nella vita di oggi. Come non vedere che Don Rodrigo rappresenta chi si sente superiore a ogni regola sociale e morale? O in Don Abbondio il non volersi prendere responsabilità? E che nell’incontro tra il Cardinal Federigo e l’Innominato c’è l’essenza dello spirito cristiano, il perdono? Così scoprono che Manzoni parla anche di loro, di noi».