Torniamo nei Tribunali per difendere le vittime della violenza machista

Grosseto: «Il nuovo anno ha portato con sé l’ennesimo profondo grido di dolore.Una piccola vita - scrive Teresa Monachino componente dell’Associazione Politica Grosseto Città Aperta e della Rete delle Donne di Grosseto - è stata spezzata con violenza, per mano di un padre che ha agito per vendetta contro la madre che poi ha tentato di uccidere a pugnalate.

Un uomo che era agli arresti domiciliari, per violenze in famiglia e contro un collega di lavoro, a cui la giustizia ha concesso di trascorrere il Capodanno con il figlio di sette anni, senza che l’incontro avvenisse in modalità protetta. Una sentenza inaudita.

Non occorre raccontare questa triste storia, quanto piuttosto invitare ad una riflessione collettiva. I Tribunali italiani hanno emesso numerose sentenze, a causa delle quali le donne che hanno subito violenza si sono ritrovate nuovamente vittime di un sistema giudiziario, perché il giudizio soccombe troppo spesso al pregiudizio. Lo testimonia la giudice Paola de Nicola nel suo libro “La mia parola contro la sua”, nel quale affronta il problema della giustizia che è distorta dallo stereotipo di genere, e che per questo emette sentenze che non tutelano le vere vittime della violenza machista. Non sono garantiti i diritti dei figli, in quanto non si ascolta il loro volere o si crede che siano manipolati da una sorta di “sindrorme di alienazione parentale”.   Non si proteggono le madri dalla lucida violenza maschile.

Tutto questo non può e non deve essere taciuto.
La Politica deve prendersi le sue responsabilità e dare precise risposte attraverso un corpo di leggi nuove. I minori dovranno avere il diritto di potersi fidare degli adulti. Le donne dovranno contare su una Giustizia non più condizionata da pregiudizi e da correnti politiche conservatrici e patriarcali.

La sinergia tra le varie istituzioni, poi, dovrà far sì che errori come questo non possano più ripetersi.
Siamo consapevoli che ci aspetta un lavoro immenso per poter costruire una nuova cultura della famiglia. Ma è un’azione alle quale tutti devono collaborare. E mi rivolgo soprattutto alle donne: torniamo nei Tribunali come si faceva negli anni Settanta, vigiliamo sui processi e sulle sentenze, torniamo a costituirci parte civile. Perché la Rete delle donne può fronteggiare questa deriva giudiziaria, così come la politica deve offrire delle risposte concrete ad un mondo maschile che stenta ad evolversi».